IL LAVORO

Nell’estate del 1944, a seguito di un accordo tra Hitler e Mussolini, avviene un secondo mutamento di status: da internati militari diventano lavoratori civili, formalmente liberi. Questo, se complessivamente migliora di poco la loro condizione, ne rende però più efficiente lo sfruttamento. La Germania ha bisogno di forza lavoro in una fase critica della guerra. I militari italiani vengono utilizzati come lavoratori coatti nelle fabbriche, nell’industria bellica, nelle miniere e nei campi. Non di rado vengono impiegati nello sgombero delle macerie e nella sepoltura dei cadaveri dopo i bombardamenti.

Gli internati italiani vengono dotati di libretti di lavoro e, ancora una volta, sono dirottati a lavorare nelle aziende agricole, nelle miniere e nelle fabbriche in sostituzione dei soldati tedeschi al fronte. A seguito di questa nuova condizione di “lavoratori civili” vengono obbligati a lavorare anche gli ufficiali internati. Opporre un rifiuto significa rischiare di essere avviati ai campi di “rieducazione al lavoro” (i KZ) dove è programmato il loro sfruttamento fino allo stremo. Eppure non pochi militari italiani, anche in questa circostanza, ripetono il loro “NO!” a qualsiasi tipo di collaborazione con i nazisti.

Alcuni oggetti anticipano il tema della liberazione: con la libertà, tornano a sventolare le bandiere, custodite con gran cura e segretezza dai prigionieri. Una valigia di legno, testimonia l’amicizia di un militare italiano con un prigioniero belga. Accanto ad essa, un’altra consunta ma preziosa coperta.